L’assuefazione ai cambiamenti climatici preoccupa non poco i produttori di vino che, non sono stati colti di sorpresa da un 2023 molto particolare tanto da dichiarare già a metà giugno che l’anno prossimo berremo meno vino.
In Alto Adige già da tempo i produttori iniziano a coltivare sempre più in alto, arrivando a produrre vino da uve nate oltre i mille metri. Le buone rese della Champagne sembrano in linea con il previsto spostamento verso nord del limite settentrionale della vite, come conseguenza del riscaldamento globale.
L’organizzazione Internazionale della Vite e del Vino ha pubblicato le statistiche annuali secondo le quali negli ultimi cinque anni nel mondo si è prodotto meno vino rispetto alla media dell’ultimo mezzo secolo, mentre la produzione globale del 2023 potrebbe essere addirittura la più bassa da 60 anni a questa parte. Nel corso dell’anno, le piante hanno prodotto meno uva in quasi tutto il mondo, e sempre per la stessa ragione: avverse condizioni meteorologiche.
Ormai sappiamo da tempo che l’Italia ha perso il primato globale che deteneva da oltre cinque anni, e passa al secondo posto (43,9 mhl) dopo la Francia (45,8 mhl). La produzione italiana è calata del 12% rispetto al 2022, soprattutto a causa delle piogge pesanti della scorsa primavera che hanno favorito la diffusione della peronospora, specialmente al centro ed al sud. Altri vigneti italiani sono stati colpiti dalle inondazioni, da tempeste di grandine o dalla siccità. Per i cugini di oltre-alpe la produzione rimane invariata rispetto a quella del 2022, che è comunque disuguale: mentre in alcune regioni è aumentata (Champagne, Cognac e Corsica), in altre è diminuita (Bordeaux, Sud-ovest, Linguadoca-Rossiglione), principalmente a causa di peronospora o della siccità.
Dal punto di vista economico la OIV osserva che il calo della produzione potrebbe anche rivelarsi un fatto positivo dal momento che negli ultimi anni è stato prodotto troppo vino e tanto è rimasto invenduto. La bassa produzione dell’ultimo anno potrebbe riequilibrare il mercato, anche se esporrebbe ad un aumento generalizzato dei prezzi e non si ha contezza delle conseguenze a lungo termine di una minore produzione.
Per quanto il mercato del vino negli ultimi anni ha continuato a decrescere in volume, continua a crescere in valore per la proverbiale tendenza di una parte dei consumatori a spendere in prodotti più cari e di più alta qualità.
Le irregolarità meteorologiche sembrano ormai essere diventate la norma e ciò complica anche le decisioni che riguardano gli investimenti, tanto da parte di piccoli produttori quanto dei colossi internazionali; Vale la pena puntare su aree che quest’anno hanno beneficiato di una meteorologia favorevole? O investire meno su altre che non hanno dato buoni risultati?
Intanto la società di consulenza strategica Pambianco pubblica la consueta analisi “Top 5 Award” 18° edizione del vino de “LeQuotabili” 2023 che, tra le small cap, inserisce anche, nell’ordine, la piemontese Vietti, oggi dea famiglia americana Krause, il Gruppo ColleMassari di Claudio Tipa e la Marchesi Mazzei di Francesco e Filippo Mazzei.
Secondo la società di consulenza sono 5 le realtà vitivinicole con i fondamentali migliori che le rendono adatte alla quotazione in borsa ed all’accesso al mercato dei capitali, mentre – tra tutti i settori – ha messo al n. 1 il gruppo Calzedonia di Sandro Veronesi, di cui fa parte anche l’enocatena Signorvino.
La Compagnia de’ Frescobaldi al n. 1 per il vino, con vendite nel 2022 per 153 milioni di euro, un ebitda del 60% ed un “rating” di 83,9 punti, di poco avanti ad Antinori, che, nel 2022, ha fatto segnare vendite per 323 milioni di euro con un ebitda del 47%. Dopo Santa Margherita, con uno score di 82,1, vendite per 260 milioni di euro ed una redditività del 35%, il Gruppo Lunelli, con 72,1 punti, 153 milioni di euro di vendite ed un ebitda del 19%, ed infine Argea, con 70,9 punti, 455 milioni di euro di vendite ed un margine del 15%.
Una classifica, spiega Pambianco, che viene realizzata prendendo “ogni anno in considerazione i bilanci delle aziende non quotate dei settori di riferimento, e ordina le società in un ranking secondo il modello di valutazione della quotabilità sviluppato da Pambianco sulla base di sette parametri: crescita %, ebitda % medio, notorietà del marchio, dimensione, export, distribuzione diretta e fascia di mercato. L’incremento maggiore del fatturato, tra i diversi settori, è stato registrato ovviamente dal comparto dell’hotellerie che finalmente sta tornando ai livelli precovid mentre un altro ottimo incremento è registrato dal settore dei vini che è aumentato del 28%. Anche in termini di margini ad avere registrato i migliori risultati è sempre il comparto dei produttori di vini con un ebitda che sfiora in media il 30%.
“Nel panorama finanziario italiano degli ultimi anni – spiega, nella sua introduzione, David Pambianco – si è assistito ad una crescente tendenza delle società che appartengono al mondo lifestyle a quotarsi in Borsa. Un fenomeno che porta le direzioni e le proprietà aziendali a ragionare sull’opportunità o meno di intraprendere un tale percorso o, in ogni caso, di aprire con altre modalità al mercato di capitali la propria impresa. La congiuntura economica e geopolitica che stiamo attraversando è cruciale. Reduci da una pandemia, che ha costretto le aziende a rivedere molto dei propri cicli produttivi e della propria distribuzione, con un conflitto aperto in Europa ed uno alle porte di casa, la flessibilità è richiesta come “condicio sine qua non” per mantenere sano e profittevole il proprio business. Dopo l’euforia dei mercati cui abbiamo assistito in particolare nel 2022, ora la situazione si va necessariamente normalizzando. Resta, però, sempre urgente la necessità di crescere per potere solidamente affrontare i mercati internazionali, per competere, per affrontare il tema del ricambio generazionale.
Il Premio leQuotabili Pambianco, andato in scena presso la sede della Borsa Italiana a Palazzo Mezzanotte a Milano, vuole non solo fotografare lo stato dell’arte delle società che appartengono ai nostri mondi di riferimento – la moda, il design, il beauty, l’hotellerie, il wine – ma offrire al ragionamento complessivo, un benchmark della capacità dell’azienda di raccogliere capitali in Borsa. Un attestato, un rating qualitativo che mette a fuoco forze e debolezze del nostro sistema, che deve affrontare oggi molteplici sfide. Sdoganato per tutti il digitale nei processi aziendali, ora è l’intelligenza artificiale che ha spostato l’orizzonte più in là e alzato l’asticella del confronto. Ma anche l’urgenza di attirare capitale umano, che per le realtà italiane è fondamentale, e di consolidare attorno a sé la filiera produttiva che è e resterà chiave per il successo a lungo termine. In tutti i casi, quotarsi in Borsa può offrire alle società del lifestyle l’opportunità di accedere a risorse finanziarie significative, ma è una decisione che va ponderata attentamente. Diventa fondamentale che le imprese considerino attentamente i pro e i contro, valutino la propria situazione finanziaria e operativa, e scelgano la finestra temporale giusta per massimizzare i benefici. Il successo in Borsa richiede una gestione oculata, un impegno a lungo termine e la capacità di adattarsi alle dinamiche del mercato”.